Bonus e mancette. La politica sociale del governo Meloni

Negli ultimi mesi il governo Meloni ha intensificato una pratica ormai diventata marchio di fabbrica: distribuire bonus a pioggia spacciandoli per politiche sociali. Ogni settimana viene annunciato un nuovo provvedimento: bonus psicologo, voucher per gli asili nido, contributi affitto, buoni sport, agevolazioni per studenti. La narrazione ufficiale è sempre la stessa: “interveniamo per aiutare le famiglie in difficoltà”. Ma guardando meglio, ci si accorge che siamo di fronte a un gigantesco gioco delle tre carte.

Il bonus psicologo è forse il caso più noto. Presentato come svolta dopo anni di emergenza sanitaria e di disagio crescente, si è tradotto in una beffa: a fronte di quasi 400mila domande, i fondi disponibili hanno coperto poco meno di 10mila persone. Gli altri possono continuare a pagare privatamente o a rinunciare alle cure. Lo stesso vale per i contributi affitto: massimo 1.500 euro l’anno, quando un trilocale in una città media ne costa anche 1.000 al mese. L’asilo nido? Sì, arriva un voucher da 3.000 euro l’anno, ma solo per chi rientra nelle soglie ISEE previste e a condizione di trovare posto in strutture pubbliche sempre più rare.

Queste misure hanno caratteristiche ricorrenti:

  • sono temporanee, durano un anno o poco più;
  • sono selettive, accessibili solo a chi supera ostacoli burocratici e click-day;
  • non intaccano mai le cause reali della crisi sociale (salari bassi, precarietà diffusa, privatizzazione di sanità e scuola);
  • creano competizione tra poveri, trasformando i bisogni in lotterie a punti dove chi arriva prima prende tutto.

Il problema non è solo la scarsità delle risorse: è la logica stessa. Lo Stato non investe in politiche strutturali, ma distribuisce mancette. Non costruisce diritti universali, ma assegni una tantum. Così facendo, i bisogni collettivi vengono frammentati e individualizzati. Ognuno corre dietro al proprio voucher, alla propria domanda, al proprio codice ISEE. L’idea di rivendicare insieme un salario dignitoso, una sanità gratuita e accessibile, una scuola pubblica di qualità, viene sostituita dall’illusione di ricevere un piccolo aiuto statale.

Intanto i numeri raccontano un’altra storia. Negli ultimi quindici anni la sanità pubblica ha subito tagli per 37 miliardi di euro, con ospedali chiusi, pronto soccorso al collasso, liste d’attesa infinite. La spesa per l’istruzione rimane tra le più basse d’Europa. Al contrario, le spese militari italiane hanno superato i 30 miliardi annui, in crescita costante per rispettare i diktat NATO. Per il Ponte sullo Stretto si trovano miliardi, per la sanità di base si invocano “sacrifici”.

Dietro la facciata dei bonus si nasconde una strategia politica precisa: non redistribuire ricchezza, non intaccare i profitti delle grandi imprese, non rafforzare i servizi pubblici. Al contrario: lasciare che salari e diritti restino fermi, mentre si compra consenso distribuendo briciole. Una sorta di clientelismo 2.0: non più il politico che ti procura il sussidio, ma un portale digitale che decide a chi tocca la mancetta.

Questo meccanismo non è solo inefficace: è pericoloso. Perché impedisce di costruire coscienza collettiva. Perché spinge le persone a percepire lo Stato come dispensatore di favori occasionali, invece che come responsabile del disastro sociale. Perché frammenta le lotte, riducendole a gare individuali per accedere a un contributo.

Come anarchici, denunciamo questa logica. Non abbiamo nulla da aspettarci da governi che smantellano i diritti e ci restituiscono elemosine. La risposta sta altrove: nella solidarietà diretta, nel mutuo appoggio, nell’organizzazione dal basso. Dove lo Stato riduce i bisogni a numeri di protocollo e a graduatorie, possiamo costruire reti reali di sostegno reciproco, spazi di autogestione, forme di lotta che restituiscano dignità e potere alle persone.

Non ci servono bonus: ci serve giustizia sociale. Non vogliamo mancette: vogliamo libertà, salario, casa, salute, istruzione. Tutto quello che i governi ci negano, possiamo conquistarlo solo lottando insieme.

Totò Caggese

 

nell’immagine: Los gatos de la milicia anarcosindicalista – Nathan Nun

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